In
Honduras: credito ai produttori associati
Questa è la storia
della costituzione della Confederaciòn de Cooperativas
Cafetaleras de Honduras, CCCH: un esempio di come le famiglie
a basso reddito dei paesi del Terzo mondo possano organizzarsi
e reagire agli effetti negativi della globalizzazione, spezzando
il cerchio perverso che vede da una parte lo sviluppo, dall'altra
il peggioramento delle condizioni di vita dei più.
E' una storia che riguarda il prodotto coloniale per
eccellenza, il caffè, che dal 1600 viene coltivato
in America Latina e in Africa per il consumo del Nord - come
molte delle materie prime, agricole o minerarie, che fanno
da pilastro alle nostre economie. L'interdipendenza tra uomini
e donne di paesi lontani non è cosa degli ultimi anni,
ma ha radici in quel passato prossimo nel quale, per secoli,
l'Europa è stata padrona del mondo intero in virtù
dei suoi moschetti e delle sue cannoniere.
Siamo nella Valle de Toro, in Honduras, a ottocento
metri di altezza. Qui i contadini strappano alla foresta porzioni
di terreno, lo dissodano e lo mettono a coltura. Il caffè
della zona non è il più buono del mondo, ma
la sua qualità è notevole: altura, come si dice
in gergo. E in parte è caffè di ombra, grazie
alla protezione di banani e eucalipti. Le famiglie non sono
in grado di comprarsi concimi e fertilizzanti chimici, e il
caffè è tutto biologico. L'Honduras è
uno dei paesi più poveri del mondo, è qui che
si è coniata l'espressione 'repubblica delle banane':
decenni fa il commercio della monocultura nazionale era in
mano a tre o quattro grandi imprese che, quando si trattava
di eleggere il nuovo Presidente della Repubblica, si riunivano
e concordavano tra loro il nome del candidato unico. E' un
paese che non ha mai visto colpi di stato: non ce n'è
mai stato bisogno. Quando il mercato delle banane honduregne
è calato, i contadini hanno piantato il caffè,
che, come prima le banane, viene venduto a intermediari locali
(in gergo: i coyotes). Da questi agli industriali che ne fanno
la prima essicazione, e poi agli esportatori e alle multinazionali.
In tutto, dal produttore all'importatore europeo, sono cinque
passaggi: al contadino rimane molto poco del prezzo finale
di vendita, meno del dieci per cento. Una famiglia proprietaria
di una finca, un campo di medie dimensioni, fatica a superare
i mille dollari di reddito annuo.
In generale si può dire che ben poco rimane
in Honduras, così come in ogni paese produttore di
caffè: in regime di libero mercato, e di libera circolazione
di capitali, i profitti di ciascuno dgli intermediari che
abbiamo citato vengono rapidamente trasferiti su banche internazionali
- in questo caso statunitensi - e entrano nel circuito finanziario
globale. Questo denaro, anche quando resta depositato su conti
correnti nelle filiali locali della Chase Manhattan Bank
o della Bank of America è di fatto sottratto
alla maggior parte della popolazione honduregna: è
come se il confine tra il Nord e il Sud del mondo passasse
all'interno del paese, separando il centro della capitale
con i suoi uffici e le sue residenze di lusso, da tutto il
resto.
Il coltivatore è poi esposto a brusche variazioni
dei prezzi sul mercato internazionale, che lo costringono
in certe stagioni a produrre sottocosto, o a vedere marcire
un raccolto con la conseguenza di far andare in fumo il lavoro
di anni. Due cifre: nel 1997 si è raggiunta la punta
massima di 250 dollari per libbra, oggi il prezzo è
crollato a sessanta dollari. Le punte massime sono sicuramente
l'effetto di fattori straordinari, ma solo dieci mesi fa il
prezzo era ancora superiore ai cento dollari. Su questo prezzo
si è basato il produttore per iniziare i lavori di
una stagione che si sta concludendo con un disastro. Le grandi
compagnie esportatrici, i proprietari degli stabilimenti di
essicazione, gli stessi coyotes locali hanno gli strumenti,
le riserve, e la possibilità di ammortizzare una stagione
negativa, i piccoli coltivatori no: si strovano strozzati
dai debiti, e magari nelle condizioni di dover abbandonare
la finca e trasferirsi nelle baraccopoli della capitale a
ingrossare l'esercito dei lavoratori precari.
La storia della CCCH è cominciata con
una intuizione di Dagoberto Suazo Zelaya, presidente
di una piccola cooperativa della Valle de Toro, capace di
volgere al meglio un evento sfavorevole. Qualche anno fa,
infatti, sull'Honduras si è abbattuto l'uragano
Mitch. Risultato: campi spazzati via dalla forza delle
acque, fame e miseria in aumento. La comunità internazionale
si mobilita, arrivano gli aiuti. Suazo dice: è inutile
distribuire aiuti alle famiglie, in attesa della prossima
catastrofe. Bisogna invece intaccare quei meccanismi di dipendenza
economica che impediscono al contadino di incrementare il
suo reddito. E di mettersi al riparo da uragani, annate di
siccità, momenti di crisi. E propone a una organizzazione
di beneficenza inglese, Oxfam, di congelare i suoi
aiuti sotto forma di un deposito bancario. Questo fondo verrà
utilizzato per concedere non doni, ma prestiti ai produttori.
Oxfam ci sta, un pugno di cooperative partecipa all'impresa.
Suazo, economista di formazione, percorre il paese e parla
a assemblee di produttori, li convince a vendere il futuro
raccolto alle proprie cooperative, in esclusiva.
In cambio, la CCCH concede prestiti a tassi
ridotti. I contadini possono pagare la manodopera stagionale,
affittare nuove parcelle, aumentare la qualità delle
piante. A quel punto Dagoberto Suazo sbarca in Europa in cerca
di compratori, e li trova. Le singole cooperative firmano
accordi di vendita diretta. Circondato da una squadra di amministratori
capaci, Suazo dà il via alla crescita esponenziale
della Confederaciòn: oggi le cooperative associate
sono duecento, le famiglie contadine coinvolte più
di ottomila. Dopo cinque anni dalla sua costituzione, la CCCH
esporta in Europa il 5% del caffè prodotto in Honduras.
Ogni raccolto, ogni container caricato sui cargo che attraversano
l'Atlantico, genera un profitto che si riversa direttamente
sul produttore, il cui reddito è triplicato. Una quota
viene trattenuta dalle cooperative, che hanno comprato i propri
camion e ora anche i propri stabilimenti di essicazione. I
funzionari della CCCH percorrono il paese, riuniscono
i contadini nelle sale comunali, nelle sedi delle cooperative,
nelle chiese o semplicemente sotto un albero, e li convincono
ad associarsi. Vengono formati i quadri locali, si tengono
corsi specifici per incrementare l'utilizzo delle bucce di
caffè come fertilizzante organico. Le agenzie internazionali
certificano la qualità del prodotto. I coyotes e gli
industriali locali reagiscono come sanno: ogni tanto un carico
viene rubato, ogni tanto un camion salta per aria. Per ora
l'unico dato è certo è questo: nel biennio 2000-2001,
nonostante il crollo del prezzo, le famiglie contadine associate
alla CCCH hanno continuato ad aumentare il proprio
reddito.
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