In Perù: microcredito
Microcredito:
è una delle parole chiave degli ultimi anni. Significa,
in poche parole, consentire l'accesso al prestito bancario
a milioni di persone nei paesi del Terzo Mondo. Contadini,
allevatori, commercianti. Piccole ditte individuali o cooperative,
che con una piccola iniezione di contante, magari cento o
duecento dollari, sono in grado di decollare, di offrire lavoro
e produrre ricchezza. Di incrementare la propria attività,
o anche di partire da zero. In ogni sede internazionale dove
si dibatte di sviluppo nei paesi poveri, la parola microcredito
ha un posto di rilievo, mobilita risorse e disponibilità,
umane e finanziarie. Le MIF, Microfinance Institutions,
in Africa, Asia, America Latina sono ormai centinaia. Ne abbiamo
vista una da vicino: si chiama Proempresa, lavora in Perù.
Lima, la capitale del paese, è una tipica metropoli
del Terzo mondo. Ci vivono quasi dieci milioni di persone,
la metà degli abitanti del paese. In gran parte sono
immigrati dalla campagna: in questo caso dalla sierra andina
e, al di là delle cime innevate a seimila metri, dalle
terre fertili al limitare della foresta amazzonica. Lima è
una calamita che attira esseri umani come il miele le mosche.
A Lima si lavora, a Lima sui mangia. Bene: una quindicina
di anni fa, una giovane antropologa peruviana decide di visitare
alcuni quartieri periferici, i barrios. Raccoglie materiale
per un master. A Villa San Salvador, a San Josè, al
Callao, Susana Pinilla Cisneros raccoglie centinaia di interviste
tra le donne, che spesso svolgono attività commerciali.
Susana registra le loro lamentele, i loro rimpianti. Stila
un rapporto, l'elenco dei loro problemi. I barrios sono l'ambiente
naturale di gestazione di quello che, in termine tecnico da
economisti internazionali, viene definito il 'settore informale':
quella microeconomia di espedienti e di genialità imprenditoriale,
che va dalla bancarella di un metro quadro al mercato fino
al laboratorio artigianale che dà lavoro a una manciata
di dipendenti. Ci si dà da fare, insomma, e si partecipa
alla creazione del Prodotto Interno Lordo nazionale senza
ricevere in cambio un bel niente dallo stato: la parola infrastrutture
suona ridicola in mezzo a queste strade fangose invase dai
rifiuti, la sanità si paga cara e in contanti, e a
leggere e scrivere ti insegna solo qualche prete. Eppure i
grattacieli del centro di Lima, le sedi delle grandi banche,
delle società multinazionali, insomma quella enclave
di ricchezza ben posizionata nel centro della capitale, trae
la sua linfa e il suo sostentamento dalla attività
di queste milioni di formichine nei quartieri di periferia.
Tutto questo Susana lo sapeva, e la sua tesi per il master
fu corroborata dalla ricerca sul campo. Quello che non poteva
prevedere era la richiesta che concludeva ogni intervista
alle donne del barrio: bene, e adesso che sai tutto di noi,
cosa pensi di fare per aiutarci?
Susana Pinilla Cisneros ha cominciato subito a battere
a tappeto gli uffici delle agenzie ONU e delle ong di cooperazione
presenti nel paese. Non le è stato difficile mettere
insieme un piccolo gruzzolo con il quale avviare una società
finanziaria. Microcredito: in quindici anni IDESI-Proempresa
ha raggiunto 250.000 microimprenditori nel paese, contribuendo
alla creazione di quasi 500.000 nuovi posti di lavoro.
Lo schema è semplice: un vero e proprio esercito
di analisti di credito con la motocicletta e la borsa di cuoio
a tracolla scandaglia le periferie della capitale. Gli analisti
discutono con i possibili clienti, ascoltano il loro progetto,
ne giudicano la sostenibilità e la redditività
prevista. Poi concordano le garanzie. E qui sta la novità
del microcredito, il cui obbiettivo è proprio quello
di consentire l'accesso al credito a chi non ha garanzie in
solido da fornire. Il sistema bancario tradizionale, soprattutto
nei paesi poveri, richiede garanzie forti: ipoteche, fidejussioni
sicure. Ovviamente i piccoli commercianti del barrio non sono
in grado di fornirle. E' stata allora inventata una metodologia,
il 'gruppo solidale', per cui cinque o sei famiglie si associano,
ponendo i loro pur miseri averi a garanzia di un prestito
a rotazione. Si comincia da una di queste famiglie, e solo
al momento della restituzione dopo sei mesi, la seconda famiglia
accede al prestito, e così via. Tutte assieme però
concorrono a ripianare il debito in caso di difficoltà,
ripagandolo insieme. Ciascuna di esse ha addosso gli occhi
delle altre (in genere parenti, o vicini di casa) e farà
di tutto per rimborsare la somma ricevuta. Al primo mancato
rimborso tutte e cinque le famiglie vengono escluse dal meccanismo.
In questo modo l'incentivo alla restituzione è alto.
Certo, le perdite ci sono. I poveri si sono dimostrati
'bancabili', come si dice in gergo, ma non è vero che
i livelli di restituzione del prestito siano addirittura migliori
che nel sistema bancario tradizionale. E, soprattutto, un
sistema del genere ha costi molto alti: i tassi di interesse
richiesti da Proempresa fanno impallidire. Eppure,
quando si visitano i mercati di Villa San Salvador o di San
Josè, e si domanda ai commercianti che cosa preferiscano,
se un incremento dell'ammontare del prestito, oppure una diminuzione
dei tassi di interesse che devono pagare, la risposta è
sempre la stessa: datemi più credito, sono in grado
di sopportarne il costo. E il sistema si è dimostrato
sostenibile, in grado di ammortizzare le perdite. Proempresa
si è ingrandita anno dopo anno. Riceve linee di credito
da Istituzioni di Microfinanza europee (Banche Alternative,
come le chiama qualcuno, perché sono sorte proprio
a questo scopo), ma anche da banche locali.
Lo schema di Proempresa è, grosso modo,
quello su cui lavorano le Microfinance Institutions in tuttoi
il mondo. Certo, non tutte fanno un buon lavoro. Molte sono
emanazione diretta di potentati finanziari internazionali
o piccoli poteri locali, e il credito viene purtroppo utilizzato
come merce di scambio. Merce politica, ovviamente. Ma molte
cooperative, organizzazioni non governative locali, associazioni,
hanno lanciato i propri sistemi di microcredito contribuendo
alla costituzione di una vera e propria rete di piccoli centri
di resistenza agli effetti negativi della globalizzazione.
In fondo, i microcrediti concessi in paesi del Terzo Mondo
non sono che una porzione risibile del denaro che quei paesi
pagano come interesse sul debito internazionale. La logica
delle banche alternative europee è, in questo senso,
una logica di restituzione del maltolto.
Il microcredito è soprattutto una metodologia
di successo. Non è la soluzione finale ai problemi
della povertà. Qualche anno fa si tenne a Washington
il primo Microcredit Summit, duemila delegati. Un capo di
stato africano svolse un intervento appassionato, esponendo
una serie di richieste ai paesi ricchi: prezzi equi per le
nostre merci, abbattimento delle barriere doganali, allentamento
del peso del debito. E concluse il lungo elenco dicendo: e,
certo, dopo tutto ciò che ho elencato, abbiamo anche
bisogno di credito. Come a dire: non pensiate che questo basti
a risolvere i nostri problemi. La platea del Microcredit Summit,
formata dagli esponenti di centinaia di piccoli sistemi di
microcredito locale, accolse il suo intervento con un applauso
scrosciante. C'era anche la Dottoressa Susana Pinilla Cisneros.
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